Il “graffio” (una rubrica brevissima, di poche battute) pubblicato sulle pagine della “Domenica”, inserto culturale allegato al quotidiano economico Il Sole 24 Ore, nel numero di domenica 21 agosto, colpisce in modo fulminante il filosofo Massimo Cacciari:
“Può darsi che il valore dell’umiltà – una viscerale avversione per l’arroganza – sia il prodotto specifico della tradizione italiana, da Dante a Manzoni. Ma è singolare che una cosa del genere ce la ricordi proprio Cacciari. La sua esibizione plateale di insofferenza per la (presunta) pochezza dell’interlocutore – nei dibattiti televisivi – non evoca uno stile umile. Forse però l’Italian Thought, in cui viene arruolato, è solo un’invenzione di marketing, una etichetta da esportazione priva di rapporti con la nostra tradizione. Un po’ come la ‘Dieta Mediterranea’, alla quale non corrisponde nessuna cucina locale nel Mediterraneo”.
Ebbene, cosa aggiungere? Lo stile umile dell’italiano era già messo in risalto da Virgilio, ma con un significato molto più profondo del semplice contrario di “arrogante”.
Nell’Eneide, l’eroe troiano che giunge dopo tante peripezie nelle acque calme del mar Tirreno esclama, sollevato: Humilemque videmus Italiam. Molti traducono letteralmente: “Vediamo l’umile Italia”. Ma l’aggettivo “umile” non ha nulla a che fare con l’atteggiamento disponibile, se non servile.
L’umiltà dell’Italia è un richiamo alla “terra”, all’humus, a quello splendido avverbio “humi”, che sta a indicare l’atteggiamento di chi poggi a terra l’orecchio quasi a cogliere il pulsare profondo del sottosuolo dove oscuramente germina la vita.
La tradizione “umile” dell’Italia è la bellezza del suo territorio, la capacità che i nostri antenati hanno avuto di trasformarlo continuamente senza distruggerlo, perché ne sapevano ascoltare le pulsioni.
Anche lo stile mediterraneo non ha nulla a che vedere con la “Dieta Mediterranea”. La mediterraneità non può essere associata a nessuna dieta e a nessuno stile di vita, intesi in senso statico.
La mediterraneità è la grande capacità dei popoli che circondavano il “Mare nostrum” di contaminarsi continuamente con il diverso da sé e di cambiare continuamente. Cambiare, cambiare, cambiare sempre, guardando al futuro e mai indietro. Cambiare con umiltà, cioè sapendo ascoltare le pulsioni più profonde che arrivano dal sottosuolo e dal nostro retroterra culturale, per rispettarne i valori di fondo.