Domenica 7 Aprile avrà inizio a Verona la 53° edizione del Vinitaly, il Salone Internazionale dei Vini e dei Distillati. 95 mila metri quadrati di stand. Lo scorso anno si registrarono 128 mila presenze da 143 Paesi e ben 32 mila buyer esteri. Eppure, al di là dei numeri impressionanti, da veterano della manifestazione posso dire che il Vinitaly non è più quello di una volta.
Di quando al produttore bastava esser presente, magari con un piccolo stand in condominio, per concludere fior di affari. Spesso per vendere intere annate a volenterosi buyer d’oltreoceano.
La globalizzazione avvicina e rende tutto più facile, ma intensifica la competizione. D’altra parte, la congiuntura scoraggia le aziende dall’investire in fiere ed esposizioni, a volte rendendo più proficui incontri mirati, scambi diretti (anche) interculturali tra produttori e importatori. Le fiere costano e non garantiscono, di per sé, un risultato da portare a casa.
In tanti, come Nanni Moretti, cominciano a chiedersi: “mi si nota di più se vengo o se non vengo?”
Per molti piccoli, esserci ha il sapore di una certificazione di esistenza in vita.
Allora, perché andare a Verona? Semplice, perché una fiera almeno bisogna farla. Tanto vale scegliere la più importante d’Italia, una tra le migliori del mondo. E poi, alla lunga, la presenza al Vinitaly paga. Prima o poi domanda e offerta s’incontrano e basta un buon incontro per ripagare i sacrifici di un’azienda. Potrei dirVi anche che Verona è bella, anzi bellissima, che tutta la manifestazione è una kermesse allegra e colorata, che espone l’Italia migliore, in tutte le sue sfaccettature, per così dire, da Torino a Pachino. Direi una mezza verità. Perché l’espositore, segnatamente il piccolo espositore – che poi è il tessuto connettivo di questa metropoli stagionale chiamata Vinitaly – qui è condannato agli arresti presso il domicilio del proprio stand. Il visitatore – quello sì – può girare, spostarsi – beato lui…- dalle bollicine della Franciacorta al Gewὔrztraminer del Trentino e poi annegare nelle dolcezze dei passiti di Pantelleria. Chi espone, se fa questo lavoro seriamente, deve limitare le proprie escursioni ai servizi igienici e, al più, a qualche temeraria puntata al bar.
Inoltre, non beve, non mangia – a meno che non produca un vino vegano e condivida lo stand con una nota marca di mortadella… (visto pure questo). Gli manca di installarsi su una colonna e contemplare le moltitudini che brulicano tra stand e corridoi col distacco ieratico dello stilita. Ma pronto a ghermire il buyer di passaggio o a sfoderare il suo miglior sorriso a 32 denti quando arriva il vecchio cliente.
Già Vinitaly è sempre Vinitaly. E ci salverà.
Corre voce che il comune di Verona, per rinsanguare le casse comunali, abbia intenzione di piazzare all’uscita della fiera numerose pattuglie della temibile polizia locale. Tutte munite di etilometro.
Funzionerebbe. E sarebbe più efficace delle manovre del Governo Monti…